Facebook? “No, grazie. Preferisco vivere.”

Quando ho aperto il mio blog, nel maggio del 2012, ricordo che la scelta nacque nel momento stesso in cui stavo cancellando il mio account da Facebook, che avevo creato nei primi mesi dell’estate 2008.

Perchè, ai tempi, mi ero registrato a Facebook? Alla fine di giugno 2008, avevo acquistato un roboante iPhone 3G, il primo telefonino multitouch che avrebbe rivoluzionato il mercato della telefonia mobile (ed accresciuto, ulteriormente, i guadagni di Apple e, in maniera più modesta, anche i miei). La vera rivoluzione dell’iPhone non stava esclusivamente nel multitouch, ma nella presenza di una iconcina denominata “App Store”, tramite la quale l’utente poteva scaricare delle applicazioni da far girare nel proprio smartphone. L’iPhone, in realtà, non lo avevo acquistato per usarlo come cellulare (all’epoca lo trovavo già lento, limitato e decisamente poco potente per le mie necessità), ma proprio per svilupparci applicazioni. All’epoca fui tra i pochi programmatori italiani, sicuramente il primo nella categoria “Salute e benessere”, a balzare al primo posto delle classifiche di vendita, e, tuttora, il fitness rimane la mia specializzazione per quanto riguarda le applicazioni mobili. Comunque, per non sviare troppo dal tema del post, ricordo che, appena acquistato l’iPhone, smaniavo dalla voglia di provare qualche applicazione, ma, salvo delle autentiche inutility, come la celebre app che simulava il suono di peti e aveva reso ricco il suo programmatore (il cui successo mi convinse definitivamente che la mamma dei cretini è sempre incinta), c’era veramente poco di interessante da scaricare.

Al primo posto nella classifica delle applicazioni gratuite spiccava una icona blu con una “f” bianca. All’epoca Facebook in Italia era pressochè sconosciuto, ma, leggendo su wikipedia la voce relativa, scopro che, nel mese di agosto 2008, ci fu un boom di iscrizioni. Probabilmente, l’accoppiata iPhone + app di Facebook, diedero slancio al social network americano in Italia.

Guardavo con un po’ di diffidenza quell’applicazione che, appena installata, desiderava sapere da me dettagli esclusivi della mia vita: dove ero nato e in che data, di che titolo di studio ero in possesso, dove lo avevo conseguito e presso quale università, e così via. Addirittura mi bombardava con richieste di mie foto, consigliandomi potenziali contatti che potessi conoscere. L’algoritmo funzionava abbastanza bene, visto che l’unica persona che mi consigliava, un conoscente del liceo scientifico, effettivamente aveva svolto l’università con me, ma non gli chiesi mai l’amicizia, poichè a malapena ci salutavamo. Ai tempi, seguivo ancora una logica comportamentista legata all’esperienza della vita reale: se una persona non la conosco perchè mai dovrei avere con lei un contatto su Facebook? Gradualmente, Facebook stesso mi avrebbe convinto a rivedere completamente questo approccio, dando spazio a sconosciuti, o quasi. Comunque, proseguo con ordine.

Ricordo che, sdraiato nel letto di un albergo di Jesolo, il 15 d’agosto pubblicai timidamente un primo autoscatto. Alla fine non avevo nessun contatto e, quindi, sarebbe rimasta una mia minuscola ed isolata incursione nel social network.

In realtà ero un po’ scettico sulle foto in Facebook. Poco meno di un anno prima, nell’autunno del 2007 era avvenuto un delitto efferato dalle parti di Perugia: la studentessa inglese Meredith Kercher veniva brutalmente violentata e assassinata nella sua abitazione a Perugia. Della presunta omicida, Amanda Knox, successivamente assolta (nell’attesa del vano processo di Cassazione che si terrà fra qualche mese, dato che lei ormai è tornata al sicuro negli States), si è saputo tutto istantaneamente: non c’è stato bisogno di appostamenti da parte di paparazzi o di meticolose ricerche poliziesche. E’ bastato aprire Facebook e dare una sbirciatina al suo profilo per scoprire abitudini, studi, vecchi fidanzati, fotografie e addirittura filmati privati.

Tornato da quella vacanza a Jesolo, provai, un po’ curiosamente, ad aggiungere vecchi compagni e compagne di studi universitari, poi un bel gruppo di ragazzi e ragazzi con i quali avevo trascorso, per due anni di fila, delle ferie indimenticabili a Sanremo nei primi anni ’90, e, dopo ancora, tutti i miei amici teutonici conosciuti a Jesolo nel corso delle mie estati presso il Lido di Jesolo.

Facebook si stava rivelando uno strumento utile, anche se mi appariva un po’ strano il modo in cui definiva i miei contatti. Non li definiva “contatti”, come tutti gli altri network, bensì “amici”. Giusto per chi legge, qualora non lo sappiate, Facebook non è stato affatto il primo. Prima di lui sono arrivati una sfilza di social network (in ordine cronologico): StumbleUpon, Friendster, LinkedIn, MySpace, Orkut e Flickr.

Probabilmente l’idea geniale di Facebook sta nel modo un po’ subdolo con il quale illude i propri utenti di potersi relazionare con gli altri iscritti. Prima di tutto, gli altri non sono iscritti o contatti, ma tuoi “amici”,  quando essi si vogliono relazionare con te non si fanno gli affari tuoi bensì “ti chiedono l’amicizia”, e, in più, giocando un po’ con le impostazioni della privacy (che Facebook stesso altera, di tanto in tanto, rendendole sempre più complicate da impostare), i dettagli della vita degli amici saranno accessibili senza problemi, una volta ottenuta l’agognata “amicizia”.

Alla fine, tutto ruota intorno a dei termini molto abusati, importanti e che ricoprono un ruolo importante in ognuno di noi sin dai tempi dell’età scolare: amico e amicizia.

Facebook si rivela essere l’habitat naturale degli impiccioni, che, finalmente, tramite il facile meccanismo di richiesta di “amicizia”, potranno scoprire vita, morte e miracoli di chiunque.

Travolto dal successo del social network, con diversi miei conoscenti che si iscrivevano e mi chiedevano l’amicizia quasi giornalmente, mi sono ritrovato con quasi 700 amici, e, fra questi, colleghi di lavoro, il tizio che prende il treno la mattina e che neanche mi saluta, la vecchia compagna di scuola che era al tavolo con me alla cena della palestra, e via di seguito.

La vita di Gianluca Musumeci era divenuta quasi di dominio pubblico, ma, tutto sommato, non ci facevo tanto caso, perchè, tutto sommato, mi faceva piacere relazionarmi con così tante persone. Insomma, la mia sensazione era che, fra le gestione delle impostazioni della privacy, magari complicata ma accettabile, e l’accettare o il rifiutare l'”amicizia” agli sconosciuti, tutto fosse sotto il mio controllo.

Ma non era così.

E’ arrivato il momento di parlare della celebre bacheca di Facebook. La consultavo diverse volte al giorno: sul cellulare, dal computer a casa, in palestra e ciò che saltava fuori spesso era incredibile. In un mondo ove carità e comprensione scarseggiano, dove le persone si dimostrano ciniche e scettiche, dove basta un microscopico errore per essere puniti ed additati da conoscenti e parenti, dentro la mia bacheca di Facebook tutti erano altruisti e caritatevoli, interessati al futuro dell’umanità, preoccupati per la povertà nel terzo mondo o per i barboni che affollano le strade delle grandi città. Ricordo che, nei periodi in cui attraversavo momenti difficili e pubblicavo qualche messaggio un po’ giù di tono, ricevevo diversi messaggi di incoraggiamento da diversi utenti (vi prego di scusarmi, ma trovo proprio poco felice definire i contatti di Facebook miei “amici”): “caro amico, su di me puoi sempre contare!”, “quando hai bisogno fammi una telefonata che usciamo insieme”, eccetera. Dovevo ritenermi fortunato: nella vita reale avevo pochi amici e, buona parte di essi, negli ultimi anni è stata retrocessa al ruolo di (infelici) conoscenti, mentre in quella virtuale ero circondato da persone straordinarie pronte ad intervenire per aiutarmi qualora io avessi necessitato della loro presenza. Peccato che qualche volta abbia anche provato a prendere sul serio questi messaggi di solidarietà. Alcuni li conoscevo personalmente da una vita, così provavo a fare queste telefonate per ricevere presenza e amicizia vere, ma questi propositi di traslare la solidarietà da un piano virtuale a uno più concreto sono sempre stati inequivocabilmente smentiti.

Nel 2010, poi, capitò un ulteriore evento che mi spinse ad una riflessione profonda.

Luca F., un ragazzo diciassettenne di San Donà di Piave decise di farla finita. Avrebbe potuto avvisare un amico con una telefonata oppure sfogare il proprio disagio con i genitori o chiunque altro capitasse a tiro. Forse anche un minimo accenno con la voce, anche a uno sconosciuto qualche minuto prima di passare ai fatti, sarebbe risultato decisivo nel salvarlo da una morte sicura. Al contrario, Luca scelse di recapitare l’ultima  testimonianza del suo tragico malessere ai suoi “amici” su Facebook, oltre mezz’ora prima del suicidio. Riporto testualmente il suo ultimo grido di dolore: “Basta, sono stanco di tutto e tutti, non mi fido più di nessuno, mi fa troppo schifo vivere così e ci sono troppo dentro per venirne fuori. Voglio andarmene da qui, mi servirebbe un po’ di relax… comunque chiedo solo una cosa alle persone che ci tengono a me: non dimenticatemi… Luca”.

Luca si è buttato dal Ponte della Vittoria, che divide San Donà di Piave dal comune di Musile, e il cadavere è stato trovato il giorno successivo, poche decine di metri più a valle.

Se lo stesso episodio si fosse verificato prima dell’avvento di Facebook, Luca avrebbe scelto di relazionarsi con qualcuno direttamente di persona, nella peggiore delle ipotesi per sms, e, molto probabilmente, chiunque l’avrebbe dissuaso da una decisione figlia della depressione più cupa che, solitamente, avvolge chi ritiene di essere sopraffatto dal dolore interiore. Nonostante Luca avesse centinaia di amici, alcuni dei quali provarono anche a chiamare casa per sincerarsi di quanto stesse succedendo, l’amicizia veicolata da Facebook non è stata sufficiente a salvarlo dalla sua stessa disperazione.

Facebook è ormai irrimediabilmente entrato nella vita di una fetta enorme della popolazione, adulti ed adolescenti.

Nello spogliatoio della palestra era quasi la regola sentire persone della mia età scambiare opinioni dell'”amica” di turno che, nell’ultimo album pubblicato, appare svestita più del solito, mentre ne ammiravano le bellezze intime. Quando svolgo gli esami ai miei studenti, non di rado mi è capitato di sentire esclamare qualcuno che, felice per il risultato, stava per pubblicare il successo su Facebook.

Una volta si andava al telefono a gettoni per chiamare casa, oggi si condivide tutto su Facebook.

Nella mia mente si stavano facendo strada delle ipotesi molto tristi ma, ahimè, suffragate dai fatti. Purtroppo Facebook si è dimostrato l’ambiente ideale per chiunque:

1. desideri investigare, più o meno colpevolmente, nelle vite altrui;

2. voglia insinuarsi nella vita di un’altra persona, studiandone abitudini e gusti;

3. sia interessato ad offrire una facciata diversa della propria personalità e condotta di vita.

Esaminiamo i suddetti punti in maniera più approfondita.

1. Ragazzi e ragazze single sfruttano Facebook come una specie di agenzia matrimoniale (o, più semplicemente, come strumento per fare nuove esperienze). Non è un fenomeno raro parlare di persone alla ricerca di parner per “accasarsi”. E’ vero che esistono già altri social network assai più specifici per quanto concerne gli incontri a sfondo sessuale (Netlog ne è stato, per anni, il leader incontrastato, ma anche Badoo, Cupido, Nirvam e Meetic non scherzano), ma, grazie a Facebook, chiunque interessato ad un’altra persona potrà scoprire, con un click, se la preda è single, sposata o fidanzata, e possibilmente valutare se sia alla ricerca di altri incontri, possibilmente di natura più intima.

Sappiate, quindi, che se qualcuno vorrà farsi gli affari vostri, anche un datore di lavoro, Facebook sarà la via maestra per esporvi.

La copertina del celebre singolo di Riccardo Cocciante e Mina. Forse oggi, al posto degli occhi dei due cantanti, trionferebbe un “mi piace” di Facebook.

2. Può capitare che qualcuno passi momenti difficili a causa delle più svariate ragioni. Non sarà difficile che su Facebook incroci quell’amico o amica virtuale che, di colpo, entrerà nella sua vita. Prima qualche “mi piace” buttato un po’ strategicamente nelle foto, poi qualche commento simpatico ai post in bacheca, poi alcuni scambi di messaggi, subito seguiti da un po’ di battute via chat e, infine, coronati dall’incontro di persona. Sarà così che un perfetto sconosciuto, dietro il quale potrebbe mascherarsi chiunque, sarà entrato nella vostra vita, volenti o dolenti. A causa di una vita frenetica e densa di impegni, è credenza popolare, spesso legata a qualche caso isolato positivo e a qualunquismo, che un rapporto nato e cresciuto sui social network possa essere equivalente a uno sviluppatosi nella vita reale. Ecco che gli incontri in chat diventano assimilabili alle vecchie lettere che due persone (che, de facto, si erano precedentemente conosciute di persona) erano solite scambiarsi prima dell’avvento di internet, e che un primo incontro in videoconferenza con Skype o il defunto Microsoft MSN Messenger possano sostituire un incontro vis-à-vis. Le relazioni umane nascono soprattutto dalla chimica: per quanto una fotografia o un commento possano trasmettere delle emozioni, un conto è vedere una persona e provare immediatamente che qualcosa vi potrebbe unire (quello che il cantautore Riccardo Cocciante descriveva nella canzone “Questione di feeling”), un altro è frequentarla virtualmente, cementificare una relazione fittizia per poi incontrarla dopo che avrete condiviso ogni dettaglio della vostra vita con lei.

Sappiate che Facebook è il modo più facile tramite il quale, chiunque interessato ad approfittare di voi, potrà entrare nella vostra vita e fingersi il vostro partner ideale.

3. Dulcis in fundo, uno dei profili standard degli utenti di Facebook è costuito dall’uomo (o donna, ma per semplicità d’ora in poi mi riferirò sempre al maschile) perfetto. Quell’utente, di cui io ho conosciuto (anche personalmente, ahimè) uno dei rappresentati più tipici, pubblicherà solo le foto in cui viene ritratto al meglio, magari anche di decenni prima, non ostenterà mai vizi o difetti, ma propaganderà solo bene, altruismo, calore ed affetto. Nella vita reale, potrebbe rivelarsi un drogato, indebitato fino al collo, truffatore e con pendenze penali a carico, ma, su Facebook, iò non potrà mai trasparire, perchè chiunque può palesare ciò che preferisce. Sarà così che deficienti patentati si proporranno quali intelligentoni plurilaureati, gente anziana e prossima allo sfascio si propaganderà giovane e bella, e così via. A questo mondo nessuno è perfetto, per cui, giusto per farvi un esempio casuale, qualora vi capiti il cinquantenne che pubblica le foto di quando era più forma un ventennio prima, che vi riempie di complimenti e si dimostra affettuoso e disponibile, vi racconterà dei suoi improbabili successi economici, vi spiegherà che tutti gli amici e le ex fidanzate si sono approfittati di lui, ma stranamente è solo, momentaneamente povero in canna e tutti i suoi contatti su Facebook sono costituiti da persone che non lo frequentano di persona, forse dovrete iniziare a temere che la truffa sia nell’aria.

Sappiate, quindi, che dovrete sempre dubitare dell'”amico” virtuale perfetto.

Simpatica vignetta che mostra le code a due diverse proiezioni. La prima recita “una verità sconveniente” e non c’è nessuno a fare la fila. La seconda, invece, è intitolata “una bugia rassicurante”, e c’è una fila lunghissima di persone nell’attesa di entrare.

Nonostante tutto questo gioco di predatori e prede, Facebook si conferma, anno dopo anno, un successo di levatura mondiale. Evidentemente, così come propagandava il film Matrix, con la famosa scelta di una pillola rossa che sveli la verità infelice e una blu che permetta di vivere in una più appagente ma falsa realtà, gli utenti Facebook preferiscono non guardarsi intorno realmente ma autoconvincersi di avere un certo numero di “amici” e far finta di non sapere che tutti quei “mi piace” nascano dalla falsità, continuando a sollazzarsi nell’ipocrisia più totale.

Vorrei concludere questo mio articolo con un paio di episodi.

Un paio di mesi orsono, presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Padova, ho scambiato un po’ di parole con una docente di pedagogia che lavora in veste di psicologa in alcune scuole elementari del padovano. Mi raccontò che, dialogando con dei bambini di terza elementare, chiese loro quando amici avessero e ogni quanto si vedessero. La risposta dei diversi bambini fu: “io ne ho 200!“, “io ne ho di più, 300!“, “…io solo 150“. Naturalmente, il modo più comune col quale fossero in contatto fra di loro era la famigerata chat di Facebook, rigorosamente di sera.

La meravigliosa simbologia che per secoli ha rinfrancato il cuore dei bambini grazie alla figura dell’amico ideale, nel nuovo millenio, va svanendo poichè quel contatto umano, che tanto arricchiva l’esperienza giovanile, è stato lentamente sostituito da un monitor e centinaia di potenziali sconosciuti (magari anche pedofili).

Nella giornata di ieri, martedì 22 gennaio 2012, è stato pubblico un articolo che diffonde la notizia di uno studio svolto da due ricercatori tedeschi. Le conclusioni a cui sono giunti è che Facebook acuisca i sentimenti distruttivi di invidia ed infelicità.

(clicca per ingrandire e leggere l’articolo)

La mia sensazione è che, in generale, Facebook favorisca il proliferare di sentimenti negativi, specie in tutte quelle persone che, frequentandolo, credono di arricchire la loro vita, mentre la impoveriscono maggiormente accrescendo la loro solitudine.

Se potete, riprendete immediatamente in mano la vostra vita, rinunciando a quella virtuale e alle relative conoscenze. Esse non fanno altro che acuire solitudine ed eventuali limiti interrelazionali.

Tornando alla vita reale, vi accorgerete che, se generazioni di esseri umani, prima di voi, hanno vissuto amando, generando figli, sposandosi, intessendo relazioni sociali, pur essendo privi di telefoni, internet, facebook e netlog vari, significa che, tutto sommato, l’uomo è fatto per vivere realmente i rapporti umani, e non per nascondersi dietro il display di un portatile o di un telefonino.

12 Comments Facebook? “No, grazie. Preferisco vivere.”

  1. James

    Bellissimo articolo! La penso come te dall’inizio alla fine…prima o poi le persone drogate dai social network si accorgeranno di come si sono ridotte e spero siano ancora in grado di riprendere in mano la loro vita reale!
    Ti saluto. James

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    1. Yuri Calanchi

      Vorrei solo che questa messaggio facesse il giro del mondo… non serve dire altro. Grazie di questa opportunità.

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  2. Luca Scantamburlo

    Ho visto numerose volte il film Contact del 1997 (diretto dal regista Robert Zemeckis), tratto dall’omonimo romanzo del grande Carl Sagan, astrofisico statunitense (un divulgatore scientifico eccezionale, uno scienziato con la esse maiuscola, ma sulla cui figura si allunga qualche ombra, per via di alcune curiose e sospette prese di posizioni di retromarcia assunte in età matura sulla possibilità di visita extraterrestre sul nostro pianeta, rispetto ad anni giovanili di ricerca e divulgazione, in cui egli era più aperto e coraggioso) e questo servizio-elzeviro di Gianluca Musumeci (oltre a sollevare temi di bioetica e di sociologia davvero rilevanti ponendo interrogativi) mi riporta alla memoria di alcune battute del film citato: Contact. In esso, ad un certo punto, uno dei protagonisti di nome Palmer Joss (interpretato da Matthew McConaughey) viene intervistato da Larry King per la CNN, sul significato degli epocali cambiamenti della struttura sociale e delle nostre abitudini, messe in moto dalla rivoluzione tecnologica degli ultimi decenni e soprattutto dall’avvento di Internet. Il giornalista intervista padre Joss, in veste di Autore di un libro sulla perdita della Fede. In estrema sintesi, il pensiero del protagonista (un ex prete cattolico) è il seguente, quasi parola per parola: siamo in grado di navigare in Rete, fare gli acquisti da casa comodamente seduti sul divano, pagando con carta di credito, ma contemporaneamente stiamo diventando una società sintetica, dimentichi degli autentici valori umani, e ci sentiamo ogni giorno più soli.
    Ecco, lo scritto di Musumeci ci ricorda quanto sia importante accompagnare la rivoluzione tecnologica del terzo millennio, con una estrema consapevolezza di chi siamo e di quale è la nostra storia, per non distruggere quanto di più caro e bello può esprimere la natura umana, quando essa è capace di vivere in armonia con il creato (flora e fauna) e rispettando il diritto alla felicità di tutti i propri simili.

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  3. Riri

    I tuoi discorsi non fanno una piega . Io non ho mai voluto iscrivermi , nonostante mi abbiano affibbiato inutili critiche su questo punto da anni ormai.
    Spero che quello che quello che scrivi riuscirà davvero a entrare nella testa delle persone che lo utilizzano e che un bel giorno smettano di rovinarsi il cervello e magari anche la vita.

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    1. Anonimo

      simone tito,dici che non serve a niente di facebook. infatti anche me pero’ da quando i volontari hanno lavorato tantissimo per salvare gli animali in tutto il mondo e anche per i bambini…quindi io serve solo per aiutare degli animali e i bambini anche firmare la petizione a riguarda i politici.

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  4. Giovanni Guarino

    Condivido pienamente!!
    Spero che sempre più persone la pensino come te, la vita và vissuta in prima persona sempre!

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  5. marti

    dopo molto tempo ho deciso di cancellarmi da facebook, ho capito che ci perdevo troppo tempo e umanamente mi sembrava totalmente inconsistente, le persone le perdi di vista lo stesso, boh è meglio non sentirsi più che mandare avanti rapporti fantasma virtuali
    per tutto il resto è fondamentalmente inutile
    inoltre in Italia abbiamo il vizio di spulciare facebook non appena succede un caso di cronaca, tendenza che non ho riscontrato per esempio guardando i tg di altri paesi

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  6. Industrio

    Articolo ineccepibile. Un’analisi perfetta che nel 2017 appare ancor più lucida e preveggente. Chapeau

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  7. Daniele

    Avrei voluto scrivere lo stesso articolo con le mie mani.
    Condivido ogni parola,ogni virgola,ogni punto.
    Queste sono parole da archiviare.

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