Khalifa parte II: bisogna sempre crederci

La documentazione che avevo trovato in rete e la testimonianza di colui che mi aveva introdotto i prodigi del dottor Khalifa sembravano promettere bene. Ricordo che telefonai a un mio caro amico, una scienziato poliedrico che parla 7-8 lingue, figlio di un medico generale dell’esercito collega di mio padre, e di una professoressa di lettere delle scuole superiori di Torino. Lui rappresenta un incrocio fra la razionalità più spinta e la ricerca di nuovi sbocchi nella scienza. Sono innumerevoli i pomeriggi che abbiamo trascorso insieme discutendo del brevetto sull’energia radiante di Nikola Tesla, oppure sulle invenzioni di uno scienziato tedesco contemporaneo che, ovviamente, cercando di ottenere energia da fonti non convenzionali (e gratuite) è trascurato da stampa e media. Il parere del mio amico è stato chiaro e semplice: prova, non ti fermare davanti ai pregiudizi o alle apparenze. Wanna Marchi non aveva dei testimonial come Mark Girardelli, Boris Becker o Roger Federer. Piuttosto intimidito, la mattina successiva, decido di contattare il dottor Khalifa per telefono. E’ occupato. Era la prima volta che chiamavo l’Austria. Considerato poi che il mio tedesco è piuttosto basilare, confidavo nell’inglese del dottor Khalifa o di chi mi sarei trovato dall’altra parte del telefono. Riprovo, ma è sempre occupato. Dopo innumerevoli tentativi sento che suona libero. Ero fuori dal mio ufficio. Indossavo il tutore ma camminavo zoppicando nervosamente in cerchio quasi anestetizzato dal dolore, ormai mio compagno di vita da tre settimane. Dopo un paio di squilli una voce calma e piuttosto flebile risponde. “Khalifa” Mi aspettavo una segretaria, invece al telefono avevo proprio il dottor Khalifa in persona. Emozionatissimo mi presento e racconto del mio infortunio. Khalifa ha una conoscenza buona dell’inglese, per cui non ho avuto nessun problema comunicativo. E’ stato molto rapido. Mi ha chiesto una traduzione in inglese della risonanza magnetica via fax, riferendomi di contattarlo dopo due giorni per farmi sapere se l’intervento fosse di sua competenza. Arrivato in ufficio mi sono armato di santa pazienza e ho iniziato a tradurre la risonanza. Se c’è una terminologia che non sopporto è quella medica. In pratica, per dire che avevo due legamenti strappati, con una sfilza di versamento e che il menisco era salvo, dovevano scrivere che: “Si evidenzia marcata disomogenea ipersensibilità di segnale che coinvolge il midollo osseo di tutto il piatto tibiale esterno e di piccola parte del condilo femorale di tale lato, reperti riferibili a focolaio contusivo osseo. Non si evidenziano rime di frattura a carico delle fibro-cartilagini meniscali. Il legamento crociato anteriore appare adagiato sulla gola intercondiloidea come per una lesione completa delle sue fibre. Non evidenti focali soluzioni di continuo del lamento crociato posteriore e del collaterale laterale. Notevolmente tumefatto e disomogenenamente ipertenso appare il collaterale mediale a livello dell’inserzione femorale come per lesione anche delle fibre di tale legamento. Coesiste versamente endoarticolare nonchè falda di versamento nella borsa seriosa infraquadracipitale, che per intensità di segnale, suggerisce la presenza di materiale ematico. Si segnala infine plica sinoviale medio-sovra-patellare ispessita sul versante mediale.” Per tradurlo con questo linguaggio assurdo sono impazzito, e vi invito a tradurre in inglese “falda di versamento nella borsa seriosa infraquadracipitale” oppure “plica sinoviale medio-sovra-patellare ispessita sul versante mediale”. Comunque, se volete farvi quattro risate, ecco la mia traduzione. Per fortuna che ho fatto per due anni il traduttore di riviste di informatica e videogiochi per Sony. Fortunatamente Khalifa l’ha capita! “There’s a marked and not-homogeneus hypersensivity of signal that involves the bony marrow of the whole tibial dish and small part of the femoral condyle of such side. Those finds are referable to hotbend contusive bony. There can’t be seen rhymes of fracture on the cartilages meniscus fibres. The anterior cruciform ligament appears to be lying down on the intercondylar throat as for a complete lesion of its fibres. There are not-evident focal solutions of continuous of the back cruciform ligament and of the collateral laterale ligament. The collateral medial ligament seems to be notably swollen and not-homoheneusly hypertense to the level of the femoral insertion as for a lesion of the fibers of such ligament. There’s an endo-articular effusion and a stratus of effusion in the bursa quadricipital, which suggests the presence of bloody materal because of intensity of signal. Finally, the synovial plica medium-over-patellar is thickned on the medial slope.” Torniamo a noi. Chiamo Khalifa dopo due giorni. Ero piuttosto teso, visto che, da buon ottimista, mi ero già fatto tutti i conti: “vado da Khalifa, mi aggiusta e dopo un po’ torno a fare Karate. Uau”. Khalifa mi conferma che può aiutarmi. Quasi non credo alle mie orecchie, così gli domando emozionatissimo se tornerò come prima. Il tono della sua voce al telefono cambia e diventa più acuto. Mi risponde indispettito: “Do you want or not an appointment?” (Lo vuoi o no questo appuntamento?). Ricordo di avergli detto confusamente che l’appuntamento lo volevo. Gli ho chiesto dove potevo dormire e così mi ha dato il nominativo di un Bed&Breakfast vicino al suo studio. E qui cominciano i disastri: al telefono a parlavano SOLO tedesco. Non vi dico la fatica per far capir loro che volevo due stanze fra due settimane e che mi chiamavo Gianluca Musumeci! Insomma, dopo diverse tribolazioni sono riuscito nel mio obiettivo (per poi scoprire, appena arrivato, che la proprietaria, Heidi, una super energica signora iperattiva [lei si’ che potrebbe fare karate!] al contrario della sua lavorante, parlava l’inglese come il tedesco). Vabbè. Le due settimane di attesa, fra l’ultima telefonata e il giorno della partenza, sembrano non passare mai. Se fossi stato meglio ci sarei andato anche a piedi in pellegrinaggio dal dottor Khalifa. Al contrario di tutti quei malati che partono e tornano da Lourdes sempre sulla stessa sedia a rotelle, io sapevo che stavo per andare incontro al mio miracolo personale. Dovevo solo avere pazienza. Khalifa mi aveva raccomandato di non guidare ASSOLUTAMENTE prima e dopo essere stato da lui, e visto che l’alternativa alla guida era mia madre (una specie di Mister Magoo del volante), prenotai una sfilza di treni e, emozionatissimo, un giovedì pomeriggio, sono partito per Hallein. La mattina successiva, alle ore 9.30, Khalifa mi attendeva nel suo studio. Non avrei dovuto ritardare neanche di un secondo, per questo decisi di partire la sera precedente. Khalifa non sopporta i ritardi: chi arriva in ritardo non è interessato a guarire (e sono perfettamente d’accordo con lui). Il viaggio, nonostante i numerosi cambi (san donà-mestre, mestre-Villach, Villach- Bischofhofen, Bischofhofen-Hallein) è stato tranquillo e comodo. Siamo arrivati verso le 21.30. Stanchi morti siamo andati dalla signora Heidi. Appena scesi dal taxi, alla vista del suo rubicondo e simpatico marito (che si chiama Frydelin e che mia madre per l’intera permanenza ha continuato a chiamare Freddy, sebbene non assomigliasse per niente al ben più noto Freddy Mercury), mia madre ha esordito con un eclatante “BONSOIR”. Ho trascorso il resto della sera a spiegarle che non eravamo in Francia, ma in Austria. E che gli austriaci non sono dei grandi amanti dei francesi…. Le artiste sono proprio delle persone strane devo ammettere…. La notte l’ho trascorsa quasi in bianco. Mi sono svegliato alle 6 del mattino, mi sono lavato due o tre volte: neanche dovessi avere un incontro con la Carol Alt dei bei tempi! In realtà dovevo incontrarmi con un medico egiziano, ma ero veramente troppo teso e dovevo fare qualcosa per distrarmi. Alle 8.30 Haidi ci accompagna nello studio del dottor Khalifa: era veramente a 20 metri dall’albergo. Il suo studio è al primo piano di una bella palazzina. Entriamo e ci accomodiamo nella salettina d’attesa. Dentro c’è un poster enorme simile a questo: con protagonista Pietro Dal Prà, uno dei più celebri scalatori italiani e amico sia di Khalifa sia di chi mi aveva introdotto il dottore dei miracoli. Era una pubblicità di scarpe tecniche per scalatori con testimonial Pietro Del Prà e recitava, in lingua inglese: “quando sei in difficoltà, puoi fidarti solo delle tue scarpe”. Solo che questo articolo era stato corretto a mano e autografato dallo stesso Del Prà. Aveva barrato le parole “tue scarpe” e ora lo slogan recitava: “quando sei in difficoltà, puoi fidarti solo delle MANI DI KHALIFA”. Mentre guardavo con ammirazione quel poster, si apre la porta ed esce un ometto sul metro e settanta, con gli occhiali, tutto sorridente e che, a livello percettivo, emanava una grandissima energia. Si avvicina a me, fidanzata e genitori e stringe a tutti la mano. Era l’esatto contrario del personaggio piuttosto scorbutico che poteva apparire al telefono. Evidentemente aveva intuito quanto fosse per me importante guarire. Dopo essersi presentato, mi dice di seguirlo nel suo studio. Sapevo che tutte le mie convinzioni sulla medicina, su quello che i media hanno sempre cercato di inculcarci relativamente alla potenza della scienza moderna, stava per cambiare. E in effetti sarebbe stato proprio così. (to be continued)

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